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I figli maschi contro mister San Carlo: “Ha dato l’azienda a nostra sorella”

I due figli maschi contro il patron del marchio San Carlo, i fratelli contro la sorella tacciata in ipotesi persino di circonvenzione di incapace o di violenza privata dopo la malattia del padre, in una «guerra delle patatine» che vale il controllo di un gruppo alimentare da 315 milioni di fatturato l’anno e 2.200 dipendenti: e alla fine è l’«arbitro» togato, cioè la Procura della Repubblica e il Tribunale civile di Milano, a risolvere la disfida familiare e a dare ragione (almeno per ora) all’anziano capofamiglia e alla figlia da lui individuata come futura guida dell’impero.

Il contenzioso nasceva dalla convinzione dei figli Francesco e Michele Vitaloni circa il deteriorarsi (fino a interruzione) dei rapporti con il padre Alberto, 83enne figlio del fondatore Francesco nel 1936, e presidente del colosso che detiene il 60% del mercato italiano degli snack salati, sponsor della nazionale di calcio e della squadra di moto «Sic 58» voluta dal papà dello scomparso campione Marco Simoncelli: e nasceva in particolare dall’idea che le mutate scelte paterne circa gli assetti azionari in famiglia fossero dipese da manipolazione e condizionamento riconducibili alla loro sorella Susanna.

 

In particolare i figli maschi lamentavano che il padre, dopo aver donato il 18 marzo 2016 a ciascuno dei tre figli tre identiche quote del 15%, e dopo un patto di sindacato con vincoli bilancianti l’equilibrio per 5 anni, il 21 ottobre 2016 (un mese dopo la morte della moglie Laura) avesse invece donato alla figlia Susanna la nuda proprietà di un ulteriore 35,04%, così dandole la maggioranza (50,04%) del controllo di «Unichips Finanziaria spa», holding a sua volta controllante il 100% di «San Carlo Gruppo Alimentare spa» e gli altri marchi «Pai, Flodor, Crecs, Highlander, Autentica Trattoria, Wacko’s»: un cambio di scelta che i figli adombravano fosse frutto di una capacità di autodeterminazione del padre viziata dall’influenza della sorella e del suo entourage dopo l’ictus che nell’ottobre 2015 aveva duramente segnato il papà.

Ma nel procedimento davanti alla giudice Enrica Manfredini della sezione «volontaria giurisdizione» del Tribunale civile, volto a esaminare la richiesta dei figli maschi di nominare un «amministratore di sostegno» per il padre, l’altro ieri è stata trasmessa dalla Procura la richiesta di archiviazione dell’esposto del 17 luglio 2017 dei figli, firmata dal pm Luisa Baima Bollone dopo una lunga istruttoria che ha acquisito le testimonianze (oltre che dei diretti interessati e dei rispettivi consulenti economici) di molte persone incaricate della cura di Vitaloni: infermieri, fisioterapisti, domestici, autisti, comandanti di barche.

La conclusione della Procura è che non emergano elementi tali da far ritenere le scelte pro-figlia del patron come frutto di circonvenzione operata dalla figlia o da terzi a suo danno, ma che al contrario esse siano conformi all’originaria volontà del padre, manifestata già prima della malattia ad esempio in un testamento del 2015. Di certo la malattia (come evidenziato dal consulente dei figli, professor Picozzi) ha provato l’uomo colpito da perdurante afasia, ma essa – valuta la Procura – non ha inciso sulla sua capacità di autodeterminazione, perché Vitaloni (come evidenziato anche dal professor Angelo Giarda, il legale che l’ha seguito come potenziale “parte offesa” dei reati ipotizzati dall’esposto dei figli maschi) anche su argomenti complessi risulta in grado di compensare una efficace comunicazione attraverso segnali non verbali e circonlocuzioni.

Di fronte a questa richiesta di archiviazione in sede penale, e agli sforzi della giudice tutelare Manfredini di favorire una ricomposizione tra litiganti sinora confrontatisi per interposta legione di avvocati sui vari fronti (da Giarda a Giorgio De Nova, da Laura Hoesch a Paolo Barozzi dello studio Grande Stevens, da Vincenzo Mariconda allo studio di Giulia Bongiorno prima che diventasse ministro), l’altro ieri in Tribunale i figli hanno ritirato la propria richiesta di nominare al padre un «amministratore di sostegno». Resta in teoria ancora aperto un terzo fronte, quello davanti all’ottava sezione del Tribunale civile (giudice Angelo Mambriani), dove il padre dal giugno 2017 chiede ai figli maschi di pagargli una penale di 16,5 milioni per essersi resi asseritamente inadempienti rispetto al patto di sindacato con la propria condotta nell’assemblea del 23 maggio 2017: ma anche qui è possibile che in futuro sia stavolta il padre a deporre le armi giudiziarie contro i figli maschi nel quadro di una auspicata ricomposizione dei rapporti.

 

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