La cronaca di oltre 48 ore imbarcato sulla Fasan inizia il 24 luglio con l’elicottero Augusta della Marina Militare che in un’oretta dall’aeroporto di Lampedusa percorre oltre cento miglia per atterrare sul ponte appena beccheggiante. Le vibrazioni sono minime grazie ai due motori elettrici super-silenziosi e quattro generatori nuovissimi che impiegano gasolio verde. A bordo 185 marinai, di cui 14 donne. La nave è stata varata dai quartieri di Riva Trigoso nel 2014: un progetto italo-francese, arricchito da un sofisticato sistema di sonar anti-sommergibile che è l’orgoglio del tenente di vascello Maria Paola Ceracchi, 31 anni, da una dozzina arruolata, addetta alla strumentazione. «Il nostro è un congegno unico al mondo», spiega fiera. «Possiamo calare il sonar a oltre 300 metri di profondità. Ce lo invidiano anche gli americani».
S’impone subito il sistema di regole e consuetudini che scandiscono la vita di questo microcosmo sociale galleggiante. Dal megafono giungono di tanto in tanto gli ordini alle varie squadre: i turni degli addetti alle pulizie, le guardie, gli spostamenti degli elicotteristi, i contatti periodici con le altre quattro unità al momento in missione. La nave-officina Gorgona con i suoi 60 membri dell’equipaggio è da mesi ancorata a Tripoli per assistere i libici nel mantenimento delle quattro motovedette donate l’anno scorso dall’Italia al governo di unità nazionale di Fayez Sarraj. La fregata Espero sta ad est, lungo le coste della Cirenaica. «Ha un compito difficile. Tra l’altro fa in modo di impedire che i nostri pescherecci entrino nella zona di mare davanti a Derna, dove il generale Khalifa Haftar sta operando contro Isis e le milizie jihadiste, imponendo unilateralmente il blocco del passaggio ai navigli stranieri. Un altro compito è evitare ai nostri pescherecci di cacciarsi eventualmente nei guai entrando a pescare il gambero rosso nel Golfo della Sirte, una zona contesa sin dai tempi di Gheddafi. Nell’aprile 2017 hanno dovuto pagare una multa di 5.000 dollari per riscattare due che erano stati sequestrati», ricorda Cottino. Il terzo, l’Orione (lo stesso che aveva scortato l’Aquarius in Spagna) sta navigando davanti alle coste tunisine. Sembra strano, ma i marinai italiani parlano con maggior preoccupazione della Tunisia che non della Libia. «Qui c’è un contenzioso antico, risale a oltre mezzo secolo fa, quando Tunisi impose il cosiddetto “Mammellone”, una vasta area di divieto alla pesca ai non tunisini ben oltre i limiti delle loro acque territoriali. L’Orione fa in modo di evitare fastidi in ottemperanza ad un accordo stipulato dal governo di Roma nel 1979. Però oggi, in termini di libertà di pesca e navigazione siamo in rapporti migliori con i libici che non i tunisini», dicono.