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Intervista con Milena Vukotic: «Ho trovato una “famiglia” in tutti i set della mia vita»

Pina Fantozzi certamente, ma anche moltissimo altro. Il ruolo della moglie dimessa del ragioniere più famoso d’Italia è sicuramente il personaggio che le ha dato la grande popolarità, ma basta uno sguardo alla sua filmografia per rendersi conto che Milena Vukotic ha dato un eccezionale contributo alla storia del cinema. Blasetti, Risi, Wertmüller, Fellini, Scola, Zeffirelli, Bolognini, Lattuada, Monicelli, Buñuel, Verdone, Ozpetek. Tutti hanno voluto nei loro film la grande attrice, oggi 86enne. Una carriera ripercorsa in un volume, “Milena Vukotic – La signora dell’arte”, curato da Claudio Miani e Gian Lorenzo Masedu, che lei ha presentato giovedì all’Asylum Fantastic Fest, il festival d’arte del fantastico italiano, in corso al Valmontone outlet, alle porte di Roma, fino al 1° novembre.

“La signora dell’arte” è un titolo che rispecchia la sua vita, avendo respirato arte e cultura fin da bambina.

«Mia madre era una pianista e compositrice, mio padre un uomo di lettere. Ho avuto il privilegio e la fortuna di essere subito instradata verso un cammino di cultura e arte che non avrei potuto percorrere se i miei genitori non fossero stati loro. Studiavo pianoforte con la mamma. Poi, siccome ero molto magra, iniziai a fare anche danza. Ero molto piccola, forse avevo 8 anni e stavamo a Londra. Ho cominciato a prendere lezioni come tutte le bambine, fino a quando la danza non è diventata una parte della mia vita. Dopo cinque anni di conservatorio e uno all’Opera di Parigi sono entrata in una compagnia internazionale. Tutto questo fino ai 25 anni, quando ho deciso di tornare a Roma, dove sono nata».

Il richiamo del cinema?
«Avevo visto “La strada” di Fellini e dentro di me ho sentito che dovevo incontrarlo e provare a entrare nel suo universo che sentivo a me molto vicino».

E ci è riuscita: “Giulietta degli spiriti” nel 1965 e l’episodio “Toby Dammit” del 1968.
«Ho partecipato ad alcuni suoi film, ma soprattutto ho avuto la fortuna di poter stare vicino a Federico, a Giulietta e – posso permettermi di dirlo – di averli come amici. È stato un grande arricchimento per la mia vita e per il mio lavoro».

Com’era il Maestro?
«A Roma lo chiamavano er faro. Perché lui era veramente un faro. Chiunque ha avuto la fortuna di avvicinarlo ha potuto rendersi conto di questa sua capacità immensa di arrivare all’anima delle persone. Aveva grande generosità e creatività e riusciva a trasmetterle. Ed era una persona gioviale, allegra e anche questa è una grande qualità».

Tra i tanti registi con cui ha lavorato c’è anche Nanni Loy.
«È stato uno dei miei primi incontri. Fu bellissimo. Nanni era una figura così sofisticata, ma contemporaneamente umana. Ho di lui un ricordo molto dolce e gentile. Purtroppo è stato un solo incontro».

Com’era il cinema italiano degli anni Sessanta?
«Io ho iniziato a 25 anni, non conoscevo nessuno, avevo solo il sogno di incontrare Fellini. Sono entrata in punta di piedi, anche perché non provenivo da scuole o accademie. Era comunque emozionante, era il periodo del boom. E c’erano grandi registi con cui ho avuto la fortuna di lavorare. Io sono stata fortunata, anche se non avevo la fisicità che allora andava di moda. Non sono mai stata né bella né maggiorata. Non ho mai corrisposto agli schemi delle attrici dell’epoca. E forse neanche di adesso».

Negli anni Settanta è la moglie di Ugo Tognazzi prima in “Venga a prendere il caffè da noi” di Lattuada e poi in “Amici miei” di Monicelli: Tognazzi era davvero così difficile sul set?
«Apparentemente era una persona poco comunicativa. Poi un giorno, mentre lavoravamo a Luino, portarono sua figlia Maria Sole, che aveva forse 5 anni. Ricordo che vidi Tognazzi trasformarsi. Cambiò modi e fisionomia. E da quel momento sul set è diventato più giocoso, più simpatico e quando abbiamo finito di girare era ormai una persona molto affettuosa. Un altro rispetto agli inizi».

La sua popolarità è legata al personaggio di Pina Fantozzi: cosa rappresenta per lei?
«Io mi affeziono sempre ai miei personaggi, anche se quello di Pina era così dimesso, quasi caricaturale. Io ero subentrata nel terzo Fantozzi e Paolo (Villaggio, ndr) mi aveva avvertito di non avere velleità di bellezza. Interpretare Pina è stato interessante, ho cercato di fare il personaggio in modo vero, realistico, pur capendo che era una caricatura. Anche fisicamente tutti eravamo un po’ deformati».

Si è mai sentita prigioniera del personaggio di Pina?
«L’ho sempre fatto volentieri, fino alla fine. Magari mi dava fastidio essere ricordata solo per quello, ma poi mi sono abituata. Anche perché ero consapevole di avere fatto tante cose che mi hanno permesso di spaziare».

Il rapporto con Villaggio?
«Era una persona molto particolare, anche lui apparentemente poco comunicativo. Ma anche con lui è nata una grande amicizia, con la moglie Maura, con la figlia Elisabetta abbiamo anche lavorato insieme a teatro. Ogni volta sul set c’è una piccola famiglia che si forma, qualche volta si deforma. In questo caso è rimasta ben salda».

La Pina Fantozzi degli anni Duemila sarebbe diversa da quella di 40 anni fa?
«La maschera di Fantozzi è universale, sopravvive ai tempi e ai luoghi. E lo stesso discorso vale per i personaggi intorno a lui. La sua storia deformata dal paradosso non ha epoche».

C’è ancora qualche scena di Fantozzi che la fa ridere?
«L’incontro con il panettiere interpretato da Diego Abatantuono. Un momento di rivendicazione della sua vita in cui Pina ha conosciuto l’innamoramento, il sogno che l’ha fatta uscire dal quotidiano incolore».

Dopo Villaggio è stata anche la moglie di Lino Banfi in “Un medico in famiglia”.
«È stato un altro pezzo di vita. Abbiamo formato davvero una famiglia. La più piccola delle attrici aveva 2 anni, oggi ne ha 27. È stata un’esperienza divertente, il mio personaggio snob, un po’ superficiale. E poi l’incontro con Lino. Un’amicizia che anche in questo caso non si è fermata all’ultima puntata. Continuiamo a sentirci e a sperare di fare una nuova stagione».

Ha recitato con i più grandi registi: un sogno mancato?
«I sogni ci sono sempre, mi mancano ancora tanti registi. Non ce n’è uno in particolare, sono tanti quelli con cui vorrei lavorare. Potrei dire Woody Allen, ma sarà un po’ difficile».

Le tournée in Sardegna?
«Tante. Ai tempi della compagnia Stoppa-Morelli venivamo in auto. Poi sono tornata con “Le sorelle Materassi”. E qualche anno fa avevo portato la storia di Rota e Fellini in tanti festival, da Cagliari ad Alghero. È stata l’occasione di sentire la meraviglia della Sardegna. Non solo la bellezza del posto, ma anche il calore della gente».

Cinema, teatro, tv: dove la vedremo prossimamente?
«A breve inizio le prove per “A spazzo con Daisy” che porterò a teatro nel 2022. Prima di Natale però farò una cosa che mi piace moltissimo: sarò all’Auditorium a Roma con le “Fiabe in musica”. Io sarò la voce narrante, ci saranno l’orchestra e il coro diretti da un maestro russo. Sarà un evento che mi riporterà indietro nel tempo, alla educazione musicale dei miei inizi».

(Tempo-Libero)

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